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Autore Topic: Terra mia: i racconti di Donato Donati  (Letto 8388 volte)
ciocchetto
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Guitto
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« il: Novembre 12, 2006, 23:31:33 »

"Terra mia" non è il titolo di un libro, è proprio quello che sta a significare: la terra di casa mia. Mentre invece Donato Donati è uno scrittore. O meglio, è un ischiano che ha scritto qualche libro e qualche raccolta di racconti. Immagino che trovare questi libri non sia facilissimo, ma con buona probabilità nella biblioteca di Valentano qualcuno dei suoi libri ci dev'essere.
Lo so, è di Ischia di Castro e non di Valentano, ma ve ne voglio parlare perché nei suoi libri e nei suoi racconti ritrovo qualcosa che mi ricorda il nostro bel paesello: ci vorrebbe anche a Valentano qualcuno che raccontasse le storie e le persone che in qualche modo caratterizzano o hanno caratterizzato il paese: leggetevi i suoi racconti e poi ditemi se non avete visto o sentito parlare di un Tontolino o di un Fichetto anche a Valentano (con nomi e vicende diverse, ovviamente): la sostanza non cambia, però: Donati è un narratore di vicende paesane, e lo fa con un occhio che non nasconde l'amore per la sua terra. La prosa sembrerà un po' antiquata (se non ricordo male, Donati è morto da qualche decina di anni), ma leggendole, almeno per me che da 10 anni sono residente a Roma e che il paesello lo vivo solo nei weekend, mi hanno dato il gusto e un po' di nostalgia per un tipo di vita che forse non esiste neanche più.

Allego un racconto breve, preso da "Maremma di ieri" e scritto durante un viaggio a Rio de Janeiro:

Perfido mal sottile è la nostalgia, che ti prende l'anima insinuandosi per le vie segrete che conducono al cuore.
Come stillante dal fonte della tristezza, la nostalgia goccia e goccia sul tuo cervello, e scivola e si spande fra pensiero e pensiero: diviene improvvisamente ribrezzo di febbre che ti consuma le vene.
Se giunge a possederti tutto, pare, a volte, che una mano enorme ti afferri alla gola, e stringa. Gli occhi ti si gonfiano; e non è facile, allora, parlare a voce alta con la gente.
Ritorna all'assalto con cronometrica precisione in determinate ore del giorno; ed è proprio come la terzana della Maremma, che, quando arriva, dà tremito írresístibile di freddo.
Ne soffrono particolarmente tutti coloro che si separarono da cose e luoghi cari, e che, allontanandosi da essi, videro sommergersi dietro la curva delle acque del mare gli estremi lembi della patria; tutti coloro che sanno lo struggimento accorato delle persone amiche, le quali confusero il loro saluto all'agítarsi di una folla che vaniva lentamente dietro la lieve nebbia d'un porto.
Guarire? Non c'è síero che uccida i germi potenti di
questo male. Dicono che il tempo attenui la loro virulenza. Chissà! Non c'è da avere troppa fiducia nel tempo: è traditore. Ti promette mari e monti; ti convince, quasi, d'aver reso inattaccabile la fortezza del tuo spirito, formato e provato nella cotidiana battaglia della vita; ti blandisce adulandoti quando vuol farti credere che sei, ormai, come la robusta quercia vincitrice delle bufere: e, alle tue spalle, stipula segreti trattati col tarlo. Questo rode impalcature e corazze, smantella superstrutture e demolisce illusioni.
S'insinua, la nostalgia, portandotì inconsciamente a vagheggiare, quasi fossero beni sovrumani da paradiso perduto, le più semplici ed umili cose.
Adori, nel pensiero, ogni squallido cantuccio della tua Terra; cambieresti ogni opulenta bellezza dei più svariati luoghi d'incanto con il seccume tufaceo delle tue colline. 1 quattro malinconici cipressi che ombreggiano il viale del cimitero del tuo paese sono di gran lunga più verdi, più maestosi ed eccelsi di qualunque gigante della foresta vergine. Saresti pronto a giurarlo!
E rifai, con la mente, la lunga strada che fu già percorsa mediante l'ansante fatica delle macchine che rimbombarono senza posa, per lunghissime notti, sotto il tuo guanciale, nella afosa cuccetta della nave.
Il tuo udito rnartoriato si rifugia nel ricordo del suono d'una campana che ti riconduce alla mente il volo pazzo delle rondini guizzanti nel cielo, quando il tramonto lacca di rosa e d'arandone lo sfondo su cui la sagoma del tuo campanile s'eleva altissima su tutte le torri del mondo.
E ondate di profumo t'investono e t'avvolgono, inebriandoti, nell'odore del fieno dei tuoi campi.
Rivivi allora il brivido dello sconforto, e senti di esse
re irreparabilmente staccato e diviso dalla Terra madre, da ore infinite trascorse sui treni fischianti, e da abissi immensi di mare quadrettato minutamente da segni di longitudine e di latitudine.
E comprendi che nel sorriso di quelle cose, di quei luoghi, di quelle immagini c'è, soprattutto, un continuo affettuoso richiamo e un dolce, allettante invito al ritorno.


E poi una poesia che apre il libro "La signora ed altri racconti"

Io sono grato alle rondini
che vengono al mio paese;
le saluto con ansia in autunno,
le aspetto trepido a primavera.
Ma esse non mi deludono:
anche se vedono città immense
e terre più ricche e più splendide,
prediligono,
come me, la mia terra;
e son sempre puntutali.
Ché non disprezzano il mio paese,
così piccolo e povero;
e non lo umiliano
con paragoni offensivi
ma lo amano, come me;
e spazio infinito di cielo percorrono
per ritornare al vecchio nido
a ravvivarlo di amore e di voli.

Ed io sono grato alle rondini
che tornano al mio paese.


P.S. Donati m'è rivenuto in mente perché oggi ho visitato il cimitero di Ischia, dove sono sepolti i miei nonni materni, e camminando tra le lapidi ho trovato nomi e volti (però questi forse me li sono immaginati) già noti per via di questi racconti, e mi sono rivisto cose che ricordo vagamente di Valentano dei primi anni '70 (ero piccolo ma c'ero): la latteria dove si andava con la bottiglia a prendere il latte fresco (da bollire per sterilizzarlo, perché veniva direttamente dalla mucca), il posto telefonico pubblico con Tetona quando ancora non c'era la teleselezione, botteghe ormai scomparse: chi si ricorda, ad esempio, del bar nel negozio dove c'era fino ad un mese fa Cartufficio e dove si dice arriverà una gioielleria? Oppure del barbiere che stava in piazza dove ora la farmacia ha una vetrina? E del tabaccaio Alceste? 
Purtroppo ormai anche le rondini non tornano quasi più, si dice sterminate o allontanate dai cambiamenti climatici: e dopo il cimitero di Ischia mi sono fatto anche un giro per il piano: una campagna come la nostra, oggi splendente dei colori d'autunno e da una coda di sole dell'estate di San Martino, non può tenersi quello schifo di serre così abbandonate, dei tralicci dell'alta tensione che la attraversano senza pietà e delle brutture come i resti della centrale geotermica. E un'altra considerazione che m'è venuta in mente passando davanti alle chiesette di campagna di Latera, appena restaurate (che ho scoperto essere le chiese di San Rocco, San Sebastiano e della Madonna della Cava): vogliamo parlare di come è ridotta la chiesa dell'Eschio? L'ultima volta che ci sono stato il tetto era già crollato da tempo, le tegole probabilmente sul tetto di qualcuno che ha pensato di fare lì la spesa, come l'architrave in peperino della porta laterale di quello che resta della chiesa. Eppure l'altare con quello che resta dell'enorme tronco è ancora lì, anche se in mezzo alle ortiche. Eppure quello è stato un luogo dove si celebrava un rito, ogni anno, fino a qualche decina di anni fa: evidentemente, a differenza di quanto sanno fare i lateresi e gli ischiani, non sappiamo guardare e curare le nostre radici: gli alberi senza radici durano poco e anche il terreno senza alberi frana...
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« Risposta #1 il: Novembre 13, 2006, 19:33:46 »

"Terra mia" .....
......da tempo, le tegole probabilmente sul tetto di qualcuno che ha pensato di fare lì la spesa, come l'architrave in peperino della porta laterale di quello che resta della chiesa. Eppure l'altare con quello che resta dell'enorme tronco è ancora lì, anche se in mezzo alle ortiche. Eppure quello è stato un luogo dove si celebrava un rito, ogni anno, fino a qualche decina di anni fa: evidentemente, a differenza di quanto sanno fare i lateresi e gli ischiani, non sappiamo guardare e curare le nostre radici: gli alberi senza radici durano poco e anche il terreno senza alberi frana...

quanto hai ragione ciocchè! la chiesa dell'eschio in particolare era un gioiellino, mi ricordo il grande prato lì davanti, con le margherite colorate, era il prato preferito della mia infanzia. Se ci penso ora mi vene una tale rabbia! Ma considero anche il fatto che ora come ora, siamo impotenti davanti a questo scempio che ritenevo EVITABILE. aVREI PRESO PER PAZZO CHIUNQUE MI AVESSE PREDETTO UNA COSA DEL GENERE!!!!!!!!!!!!!!!!
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« Risposta #2 il: Novembre 17, 2006, 20:01:49 »

Vorrei segnalare due libri che parlano del Valentano e delle vicende della sua popolazione negli anni a cavallo tra le due guerre .
Uno si intitola CAMPANE E CANNONI autore Mario Cruciani, l' altro si intitola CRONACA E STORIA A VALENTANO autore Francesco Ranucci.
Campane e cannoni racconta vicende di giovani valentanesi pronti a partire per il fronte ma anche di una storia d' amore tra una ragazza ed un ufficiale tedesco;
L'altro libro ambientato sempre in quel periodo narra di episodi e personaggi del tempo.Tra l' altro entrambi gli autori sono stati sindaci di Valentano.
Anche io ricordo bene il posto telefonico pubblico(la telefonista si chiamava Tota non Tetona),la bottega di Romolo il barbiere ,il bar di Checcarone,il barretto di San Martino con il mitico JUke box.Anche se sono cose che riguardano la mia infanzia ed adolescenza le ricordo con piacere ma senza nostalgia.
Concordo con ciocchetto per il discorso della chiesa dell' Eschio,già all'epoca era meta di scorribande di noi ragazzi ed era già molto malridotta,sinceramente non ricordo che ci si svolgesse alcun rito religioso .
Ricordo anche il castello praticamente ridotto ad un rudere , dove era vietato entrare e proprio questo divieto spingeva noi ragazzi ad addentrarci al suo interno rischiando l incolumità (la scalata santa se non ricordo male aveva dei gradini mancanti ).Oggi il castello ospita un Museo, la biblioteca ed altri uffici le nostre radici sono anche lì, non c' è da essere tristi più di tanto ciocchè.
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